Tiziano Mannoni è stato per me un vero Maestro
Commemorazione di Tiziano Mannoni, di Anna Boato
Accademia ligure di Scienze e Lettere, 14 aprile 2011
Tiziano Mannoni è stato per me un vero Maestro.
Lo è stato, credo, per molti, non solo perché è stato l’iniziatore di nuove discipline, come l’archeologia medievale, e l’ideatore di nuovi strumenti di indagine, come la classificazione cronologica delle ceramiche medievali o la mensiocronologia dei laterizi, e non solo perché ha insegnato nelle università e sul campo l’utilizzo dei metodi e degli strumenti che di volta in volta metteva a punto o utilizzava nelle proprie ricerche, ma, soprattutto, perché era un uomo che sapeva trasmettere agli altri, in qualsiasi contesto o situazione si trovasse, il senso di ciò di cui parlava, in modo allo stesso tempo profondo e semplice. Aveva infatti una grande capacità di comunicare: facendo lezione, scrivendo (un suo elenco del 2009 contava 553 titoli) o, anche, nelle lunghe telefonate che faceva a propri collaboratori e amici ricercatori, in orari non sempre canonici, quando doveva chiedere qualcosa di urgente o voleva raccontare loro qualche novità.
Da lui ho avuto molte informazioni, molte spiegazioni, molti suggerimenti e, soprattutto, un continuo esempio su come affrontare i problemi conoscitivi e sull’importanza della “discussione”, che Mannoni intendeva sia come dialogo paritario tra tutti gli interessati a un problema, sia come discussione tra discipline diverse.
La sua predisposizione a considerare senza pregiudizi, anzi con sempre rinnovata curiosità, punti di vista diversi, modi di procedere “altri”, mi sembra uno dei più significativi aspetti della sua figura scientifica e, anche, umana.
Grazie a tale apertura, alla sua straordinaria memoria e all’intelligenza razionale che lo guidava, ha potuto così muoversi senza superficialità attraverso i diversi settori del sapere umano a cui si è dedicato nel corso della sua vita.
Non mi sento in grado di riassumere in pochi minuti tutte le tappe della sua carriera scientifica e dei suoi percorsi di ricerca, che, per motivi di età e di collocazione disciplinare, conosco in gran parte solo indirettamente, ma ne ricorderò alcuni, che mi sembrano importanti.
Geometra di formazione, topografo e tecnico elettronico per mestiere, nel 1956 entra a far parte attivamente dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, diretto da Nino Lamboglia, e diviene archeologo sul campo. Nel 1975, grazie anche alle competenze di tipo scientifico acquisite presso l’Istituto di Mineralogia dell’Università di Genova, dove lavora come tecnico dal 1963, e alla Laurea in Scienze Naturali (ottenuta come studente lavoratore nel 1967) pubblica il fondamentale volume su La ceramica medievale a Genova e nella Liguria (Bordighera 1975).
Nei Laboratori dell’Istituto, poi Dipartimento di Scienze della terra, dà vita al Settore di Mineralogia Applicata all’Archeologia, dove porta avanti le ricerche archeometriche sulla ceramica, che valgono a lui e, più recentemente ad alcuni suoi allievi, stima e notorietà a livello internazionale.
Nel 1969 con il corso di Giacimenti minerari comincia la sua attività didattica universitaria, che si diversificherà e si amplierà nel corso del tempo, con insegnamenti nella Facoltà di Lettere e, poi, nelle Scuole di Specializzazione, non solo genovesi, in Archeologia e in Restauro dei Monumenti. Nel 1983 viene chiamato come professore associato alla Facoltà di Architettura di Genova, dove insegna Rilievo ed Analisi tecnica dei Monumenti antichi e Caratteri costruttivi dell’Edilizia storica e «dove, con spirito anticipatore e singolare lungimiranza, ha dato vita al “Laboratorio di Archeologia dell’Architettura” che, nel corso degli anni, si è rivelato vivace centro propulsore di ricerca e di innovativa elaborazione culturale» (motivo, tra gli altri, per cui gli è conferita la laurea Honoris Causa in Architettura nel 2001).
Collabora alla creazione delle riviste Archeologia Medievale (1974) e Archeologia dell’architettura,
(1996) discipline di cui è considerato uno dei padri fondatori, e, a Genova, fonda nel 1976 l’Istituto di Storia della Cultura Materiale, associazione di ricerca nell’ambito della quale mette a punto metodi e strumenti di ricerca assolutamente originali e, a mio giudizio, geniali nella “semplicità” che, a posteriori, possiamo loro riconoscere.
Ciò che emerge da questo breve excursus e che mi sembra importante far notare è, come accennavo, la multi-disciplinarietà che caratterizza tutta la sua formazione e la sua attività e su cui Mannoni non mancava di riflettere.
A questo proposito, in un articolo del 1990 dedicato al ruolo dell’archeometria e al suo rapporto con l’archeologia e con le altre discipline, scriveva:
«Esistono ovviamente settori della ricerca nei quali i metodi di una sola disciplina possono fornire da soli tutte le informazioni e le interpretazioni necessarie ad una vasta conoscenza, ma esistono anche molti settori (…) dove è più esauriente, sicuro e veloce procedere con il «cambio di metodo al bivio». Quando, cioè, i metodi di una disciplina danno più risposte possibili, o risposte probabili ma non sicure (bivio), conviene cercare se esistano metodi di altre discipline che possano dare agli stessi quesiti una risposta unica e sicura. (…) Il modo di procedere nella ricerca con il «cambio» è d’altra parte noto da molto tempo; basti pensare al termine «interdisciplinare», l’abuso del quale però ne ha purtroppo distrutto ormai il vero significato. Tale metodo si differenzia non solo da quello monodisciplinare, ma anche dal modo pluridisciplinare, che significa l’applicazione separata dei metodi di più discipline, i cui risultati vengono confrontati tra loro a ricerca ultimata.» (Mannoni T., 1990, Archeometria: archeografia o archeologia?, in “Dialoghi di archeologia”, serie III, anno 8, n° 2: 77-81).
Un tema molto caro a Mannoni e strettamente intrecciato con il problema dell’interdisciplinarietà era quello della cultura materiale, che gli sembrava fornire una chiave per «conoscere meglio l’uomo del passato, ma anche del presente» e che non gli sembrava essere stato davvero recepito o accolto come, secondo lui, avrebbe meritato.
Nel 2008, in un articolo intitolato Cultura materiale e cultura esistenziale, scriveva infatti:
«Non sono il solo a notare (…) che l’impiego della cultura materiale nelle ricerche attuali non sia diffuso (..). Da almeno tre decenni lavoriamo in quella direzione e il vedere che il tema non attecchisce fa pensare che forse abbiamo sbagliato qualcosa o siamo stati degli illusi.» (in Lo studio delle tecniche costruttive storiche: stato dell’arte e prospettiva di ricerca, a cura di V. Pracchi, Como, 2008: 151-164).
Ma cosa intendeva Mannoni per “cultura materiale”?
«(…) Il senso in cui la si intende nell’Istituto di Storia della Cultura Materiale (I.S.Cu.M.) si trova già nell’editoriale del primo numero della rivista “Archeologia Medievale” (1974).» (Ibidem).
In questo editoriale si faceva riferimento alla cultura materiale come a «una disciplina che, valendosi dell’apporto di più specializzazioni che le conferiscono una larga permeabilità di carattere interdisciplinare è in Italia ancora da definire e costruire» e veniva proposta la seguente definizione, ricavata dalla esperienza scientifica della scuola polacca: «la storia della cultura materiale studia gli aspetti materiali delle attività finalizzate alla produzione, distribuzione e consumo dei beni e le condizioni di queste attività nel loro divenire e nelle connessioni con il processo storico».
Nonostante l’esplicita ammissione di sconfitta, non si trattava, però, di abbandonare l’idea, in cui Mannoni ancora credeva fermamente, ma di approfondirla, di renderla più comprensibile, di spogliarla da ogni possibile fraintendimento, non ultimo quello legato al nome.
L’articolo del 2008 si sviluppava così per diverse pagine ricche di ragionamenti ed esemplificazioni per concludersi con uno schema tramite cui Mannoni cercava di mostrare «dove si potrebbe collocare tale cultura nell’ambito di una visione sinergetica dell’uomo».
«ogni voce dello schema (NdA: vi compaiono, tra le altre, le voci Ambiente, Risorse, Cultura artistica, Cultura esistenziale) richiederebbe, come minimo, una discussione come quella sulla cultura materiale, a cui sto lavorando: lo scopo della sua anticipazione è quello di invitare ad una visione della conoscenza che non sia monodisciplinare, e neanche interdisciplinare, ma antropocentrica, nel senso che l’uomo che costruisce, o che produce qualsiasi altro manufatto, non apre il rubinetto del faber e chiude gli altri, ma tutto il suo essere partecipa in modo sinergetico al suo lavoro.»
Pochi giorni prima della morte, in un appunto personale datato 10.10.10 che la famiglia ha consentito fosse reso pubblico (G. Murialdo, ricordo di Tiziano Mannoni nella Pieve di Sorano a Filattiera, il 27 novembre 2010), Mannoni, interrogandosi sulla propria appartenenza disciplinare, rifletteva ancora una volta su ciò che credo sia stato il vero oggetto di tutte le sue ricerche, fossero esse dedicate allo studio delle ceramiche o a quello del territorio, all’archeologia dell’architettura o alla storia della produzione e dei commerci:
«A questo punto non so più a quale disciplina appartengo, o a quali discipline, a patto che ce ne sia qualcuna che mi accoglierebbe, né se sia necessario o indispensabile appartenere a qualche disciplina. Se fossi obbligato a scegliere deciderei per l’Antropologia…»,
una antropologia che Mannoni avrebbe voluto come un “filone delle scienze”.
Ma “le scienze”, come annotava ancora Mannoni,
“non sono altro che un sistema umano per conoscere per gradi e a modo loro (NdA: degli uomini) la natura, e quindi sarebbe l’antropologia che dovrebbe guidare la barca usando nel modo migliore, anche in senso umano, le scienze, assieme alle esperienze che l’uomo ha anche di sé stesso, studiando il suo passato per fare le scelte migliori nel presente e migliorare quindi il futuro” …
Questo oggetto era, appunto, l’Uomo.